Febbraio: i fiori e le vallette, il presentatore e lo share di gradimento, gli ospiti e le polemiche, i Big e le Proposte. In sintesi: Sanremo
“Un successo di ascolti con musica per ogni palato” è stato il giudizio unanime dei vertici Rai e perfino Mediaset non ha disdegnato il plauso alla co-conduttrice della serata finale (Maria De Filippi) ed al vincitore, già assidui frequentatori del suo palinsesto.
Arisa e Marco Carta: l’estetista genovese e il parrucchiere cagliaritano, 2 giovanissimi autodidatti che hanno saputo affascinare la giuria e sorprendere per l’oceanico consenso di pubblico, grazie a 2 canzoni d’amore orecchiabili e disimpegnate adatte ad un target adolescenziale, come “Sincerità” e “La forza mia”.
Disdegnando testi dai temi attuali e scottanti, di denuncia sociale o morale, ben interpretati da Povia con “Luca era gay”, Marco Masini con “L’Italia” o Iva Zanicchi con “Ti voglio senza amore”, il trofeo palmato ha preferito concedersi alla generazione che, complice l’amatorialità, ha trasformato l’ingenuità fanciullesca da maschera narcisista in agente di creatività spontanea, supportato dalla tecnologia e dalla democratizzazione artistica.
Sono gli adult-babies. Per loro gusti e tendenze vengono esibiti in strada e diffusi attraverso TV e riviste, veri e propri prontuari di stile che amplificano di mese in mese voghe e infatuazioni collettive, slang e locali di tendenza, in e out di un mercato frivolo che ha fatto della moda, più che un’ossessione generalizzata, la chiave di volta dell’oggi. L’istantaneità dei consumi, la ricerca della soddisfazione immediata, il mito del glamour, il nomadismo di un sapere rizomatico, hanno imposto così, nuove gerarchie comportamentali all’insegna di un codice visuale che antepone smart a wise, di una conoscenza che non è più valore d’uso strumentale né alimento spirituale, ma ludico disimpegno, di una politica liberatoria che alla serietà alta dell’accademismo contrappone il piacere pungente di un sapere commerciale.
Eppure, tra le mille luci cittadine e i jingle televisivi impastati con i rumori del traffico, i flutti della recessione erodono lentamente il gigante di sabbia e la contrazione dei consumi si riflette sui singoli (mutui decennali, ristoranti e negozi sempre meno affollati) come sulla collettività (astronomico costo delle infrastrutture e monopolio edile). Così, ciò che colpisce della generazione emergente è lo scetticismo dilagante sull’uscita dalla crisi e l’incosciente attesa di un cambiamento che provenga dall’alto. L’habitat agognato della supremazia dei consumi facili e accessibili, punteggiato di discount e outlet, luoghi di culto di un mercato massificato ove il capitalismo è predicato come filosofia di vita, pullula di adult-babies che hanno ormai rinunciato al mito della prosperità, ma sembrano incapaci di reagire ad una situazione di stallo, preferendo chiudere gli occhi per rifugiarsi nel rassicurante bozzolo domestico. Un simile atteggiamento rinunciatario, caratterizzato da una frattura tra tensione al cambiamento e fragilità, fra una salutare voracità e il senso di un'imminente esplosione fuori controllo, riflette una realtà d’inadeguatezza di fronte ad un presente rigonfio di eccessi e contraddizioni.
Ecco spiegato allora il successo di Arisa e Marco Carta, ma soprattutto il loro incredibile seguito di pubblico televotante. Le loro esibizioni canore hanno saputo conquistare l’empatia di una spectatorship particolarmente sensibile all’innocenza adolescenziale e alla memoria infantile quali baluardo di genuinità. La vittoria dei loro brani musicali evidenzia perciò, una calcolata semplicità espressiva fatta di rime puerili, figure vulnerabili e umori melensi, capace però, di assecondare il bisogno di prodotti dall’intensa natura emozionale di una gioventù sempre più spottificata.
[fonte: interno18.it]
FONTE
giovedì 2 aprile 2009
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